La
donna còlta
nel frusciare studiato dei suoi ornamenti è alla
base della pittura di Umberto Passeretti. Donna- dea,
madre o
amante, di ieri o di oggi, le sue rappresentazioni dal
portamento ieratico, generalmente prive di testa, non
si allontanano
mai da una classicità rivisitata da un uomo ancorato
saldamente alla sua epoca. Tuttavia non è la trama
della tela tesa su di un telaio che in origine monopolizza
l’artista romano, una delle cui prime installazioni intende
costruire, in un disegno perfetto, l’ambientazione di
un teatro ideale in piena natura: così Villa Adriana
del 1975. Come un passero tessitore, egli inizia allora
a disegnare un vasto nido formato da una lunga striscia
di stoffa
bianca che sospende a dei rami d’albero, i quali diventano
in
questo modo le colonne del suo tempio, campestre, della
tragedia.
Al centro di questo cerchio sacro della rappresentazione
drammatica, la scena resta deserta, come è giusto,
poiché solo degli dei e delle dee sarebbero abbastanza
perfette per comparire e mettervi in scena l’ideale.
Allo scopo di passare in rassegna dei personaggi, forse
divinizzate
dal ricordo, che si prendevano nelle pieghe
del suo inconscio
tutto il tempo necessario per prepararsi, Passeretti
si volge alla pittura, che è un’arte dell’illusione
e da forma a tutti i sogni per mezzo della spazzola e
del pennello.
Tuttavia ciò che egli si applica a dipingere ad
olio o in acrilico all’inizio non è che il seguito
dei suoi drappi teatrali: paesaggi di pieghe su piani
ravvicinati,
foreste di verticali colorate, ma senza forma arborea.
Questi rettilinei Tensioni e Panneggi del 1977, costituiti
da
tessuti incrociati e annodati in estensione, non rivelano
per il momento profili curvi che suggeriscano che al
di sotto ci sono dei corpi, in altre parole non sono
abiti
di attori
pronti ad entrare in scena, ma semplici campioni di stoffa
per possibili parures. Del resto Umberto stesso non si è impegnato
subito in questa confezione, preferendole una galleria
di ritratti che mette in campo persone reali, ma non
i protagonisti
della rappresentazione sperata. E questi volti osservati
un po’ di nascosto, si rivelano essere soprattutto schizzi
di donne, che fingono di sfuggire lo sguardo di questo
indagatore dell’anima che ogni ritrattista fatalmente è.
Su un versante comune è del resto lui stesso che
non vuole “svelare” se non di profilo, come se fosse
incapace di osservarsi frontalmente nello specchio di
una immagine.
Insomma queste teste rivolte verso il “fuori campo”,
con i loro occhi assenti, prolungano il paradosso iniziale
del
“Teatro ideale” rimasto vuoto. Più precisamente
questa maniera è il segno
di un momento in cui egli riecheggia il Rinascimento
italiano. Cosi se La Dark del 1988 veicola un impulso
più moderno,
Angela Kaufmann del 1987 e Roberta del 1988 sono belle
donne con turbante all’antica, alla maniera della Dama
dalla reticella
di perle di Leonardo da Vinci del 1490, così come
questo Autoritratto in cui l’artista si mostra abbigliato
con uno zucchetto rosso, fa pensare ad una delle composizioni
in cui la testa del protagonista è in parte ricoperta
dal cappello da Piero della Francesca, come il Ritratto
di Federico di Montefeltro, duca di Urbino, del 1465. Ma
ora, superate queste rappresentazioni capitali, nel vero
senso della parola, i contenuti del suo lavoro giungono
da
un cambiamento d’epoca: ciò che risale probabilmente
alla memoria più profonda entra in scena con l’incedere
dell’antichità. Il Rinascimento italiano cede
il posto alle origini greco-romane dell’arte, e le sembianze
di donne
reali sfumano in divinità senza corpo. Umberto
dipinge ormai instancabilmente enigmatiche immagini di
toghe che
non coprono se non anatomie trasparenti. Né mani
né piedi,
o quasi affatto, spuntano da esse, nessun viso rende
riconoscibile la vera identità di tutte queste
dee ammantate di nomi mitologici. Ci troviamo forse in
compagnia di Federico Fellini che scorta
gli operai che scavano i tunnel della Metro di Roma e
che nell’abbattere il muro di una stanza sotterranea
millenaria
si trovano all’improvviso davanti a degli affreschi sublimi
che sbiadiscono non appena li raggiunga l’aria? Le donne-presenze
di Passeretti possono anch’esse scomparire? Occhi inquisitori
potrebbero penetrare il mistero di queste emergenze simboliche,
e comprendere che al centro di questa straordinaria schiera
sta in posizione dominante Demetra? Infine, non c’è anche
questa dea-madre seduta in trono, che tiene con la mano
destra, resa percettibile,
un neonato
avvolto in una striscia di stoffa bianca, forse staccata
dai rami di un “teatro dieale” desolatamente vuoto fin
dall’inizio? Il solo viso che vi affiora è quello
di questo piccolo bambino, già preoccupato di
dover vivere. Tuttavia non c’è qui nulla di veramente
votato alla disperazione, un qualcosa di solare avvolge
il cavallo
al
trotto, il neonato è sempre una promessa di speranza,
e a dispetto degli involucri privi di corpi, un soffio
vitale irriga l’agitarsi di tanti panneggi, spesso dai
colori caldi.
Talora cancellando il surplus corporeo e il modello di
riferimento, si fanno largo su tutta la superficie degli
squarci astratti,
dove non esistono che bande verticali ed orizzontali
scaglionate in gradazione, in realtà frammenti
di toghe. Ma al di là delle premesse, della stessa
natura del colore, la forma scivola ondeggiando in miscele
vaporose,
dando unità ad un mare leggermente curvo, dove
il gesto regola armoniosamente i flussi tormentati della
trama. Tutto,nella mitologia di Umberto Passeretti, viene
dal di dentro, e al di là del silenzio che la
circonda, si manifestano di tanto in tanto una straordinarietà familiare
ed una presenza inquieta.
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Le
culte de la femme saisie dans le froissage étudié de
ses atours ,fonde la peinture d’Umberto Passeretti. Femme-déesse,
mère ou amante,d’hier ou d’aujourd’hui, ses effigies
au port hieratique, généralement privées
de tête, ne s’éloignent jamais d’un classicisme
revisité par un homme ancré dans son époque.Toutefois,ce
n’est pas la texture de la toile tendue sur un chassis,qui
de prime abord attire l’artiste romain, dont l’une de
ses installations inaugurales entend dresser ,en épure,
le décor d’un théâtre idéal
en pleine nature, ainsi “Villa Adriana “en 1975. Tel
un passereau tisserin, il se met alors à tracer
un vaste nid assorti d’une longue et étroite étoffe
blanche, et l’accroche à des branches d’arbres qui
deviennent, ce faisant, les piliers de son temple châmpetre
de la tragédie. Au sein de ce cercle sacré de
la représentation dramatique, l’aire de jeu reste évidemment
déserte, car seuls des dieux et des déesses
auraient été assez parfaits pour apparaître
et induire la mise en scène de l’idéal. Afin
d’inventorier des personnages peut être divinisés
par le souvenir, qui prenaient tout leur temps pour se
préparer
dans les coulisses de l’inconscient, Passeretti se tourne
vers la peinture parce qu’elle est un art de l’illusion,
qui rend visibile tous les visages des rêves, à travers
l’empreinte transgressive de la brosse ou de pinceau. Néanmoins,
ce qu’il s’attache à peindre à l’huile
ou à l’acrylique, n’est d’abord que la suite de
ses banderoles théâtrales: des paysages de
plis en plans rapprochés, des forêts de verticales
colorées, mais sans arborescences. Ces rectilignes
“Tensions et Drapés” en 1977, constitués
de tissus croisés et noués en extension,
ne révèlent
pas pour l’instant de courbures suggérant des corps
sous-jacents, autrement formulé, ne sont pas des
habits de comédiens prêts à paraître,
mais de simples échantillons de textiles pour de
possibles parures. D’ailleurs, Umberto ne s’est pas lui-même
engagé d’emblée dans cette confection, lui
préférant une galerie de portraits campant
des personnes réelles, mais point les protagonistes
de la pièce espérée. Et ces faciès
observés un peu à la dérobèe,
s’avèrent être essentiellement des esquisses
de femmes, feignant de fuir le regard de ce voyeur de l’âme
qu’est fatalement tout portraitiste. Sur un versant mitoyen,
c’est également lui-même qu’il ne veut dévoiler
qu’en vision latérale, comme s’il ne pouvait se
mirer frontalement dans le miroir d’une image. En somme,
ces têtes
dirigées vers le hors champ, avec leurs yeux absents,
prolongent le paradoxe initial du “Théâtre
ideal” demeuré vide. Plus précisément,
cette manière est le signe d’un moment, en ce qu’il
remémore
la Renaissance italienne. De la sorte, si “La Dark” en
1988 véhicule une motion plus moderne, ”Angela Kaufmann“en
1987 et “Roberta” en 1988 sont des belles enturbannées à l’ancienne,
façon” Dama à la résille de perles”
de Léonard de Vinci en 1490, à l’égal
de cet “Autoritratto” où l’artiste s’affiche affublé d’un
bonnet rouge, qui renvoie à l’une des compositions
partiellement chapeautée par Piero della Francesca,”Portrait
de Federico de Montefeltro, duc d’Urbino”en 1465. Maintenant,
passées ces représentations capitales, au
sens propre, le corps de l’oeuvre advient par un changement
de
période: ce qui remonte de la mémoire probablement
la plus profonde, entre en scène cette fois sous
l’ allure de l’antique. La Renaissance italienne cède
la place à la naissance gréco-romaine de
l’art, et les figures de femmes réelles s’estompent
devant les divinités incorporelles. Umberto peint
désormais
inlassablement d’énigmatiques images de toges ne
cachant que des anatomies transparentes. Pas de mains ni
de pieds
ne dépassent, ou à peine, pas de visage qui
vient avouer l’identité veritable de toutes ces
déesses
masquées de noms mythologiques. Sommes nous en compagnie
de Federico Fellini,escortant les tunneliers du métro
de Rome, qui s’en vont crever le mur d’une cave millénaire
et se trouvent soudain confrontés à des fresques
sublimes blêmissant, à l’aune, de l’arrivée
du vent? Les femmes-fant?mes de Passeretti sont-elles susceptibles
de s’effacer aussi? Des yeux inquisiteurs seraient-ils
aptes à percer
le mystère de ces émergences symboliques,
et discerner qu’au centre de cette incroyable cohorte domine
Déméter? Enfin, n’avons nous pas là cette
déesse-mère tr?nant assise, et qui tient
de sa main droite perceptible un nouveau-né emmailloté au
moyen d’une étole blanche, peut-être décrochée
de la ramure d’un “Théâtre idéal” désespérément
vide depuis le commencement? Et dans lequel le seul visage
qui affleure, est celui de cet enfançon, grave déjà d’avoir à vivre.
Pourtant, rien n’est ici véritablement voué à la
désespérance, quelque chose de solaire enveloppe
le cheval au trot, le nouveau né est toujours une
promesse d’espoir, et en dépit des enveloppes exemptes
de corps, un souffle vitaliste irrigue les moutonnements
d’autant de drapés souvent nappés de chauds
coloris. Parfois, gommant la surcharge organique et le
référent
tout court, se font jour des vantaux abstraits “all over”,
où ne subsistent que des bandes verticales et horizontales échelonnées
en dégradés, en réalité des
fragments de toges. Mais quels que soient les postulats,
consubstantielle
de la chromie, la forme glisse, ondoyante, en brassages
vaporeux, en fédérant une houle légèrement
bombée, où le geste régule harmonieusement
les flux contrastés de la trame. Tout, dans la mythologie
d’Umberto Passeretti, procède de l’intérieur,
et au-delà du silence qui la ceint, se manifeste à la
fois une étrangeté familière et une
présence inquiète.
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